Allarme granchio blu sulle coste italiane: sai cosa rischiamo davvero?

Negli ultimi anni, i telegiornali hanno spesso riportato la notizia della rapida diffusione lungo le coste italiane di una nuova specie di granchi, suscitando notevoli preoccupazioni tra gli esperti e gli operatori del settore. Questa specie, denominata “granchio blu” per via del suo colore inconfondibile, sta attirando l’attenzione per il suo impatto sull’ambiente marino. Ma quali sono le sue origini e quali rischi comporta per l’ecosistema?

Un lungo viaggio

Il granchio blu ha origine dalle coste atlantiche del Messico e degli Stati Uniti, ma la sua presenza nel Mar Mediterraneo è documentata già da diversi decenni. Le prime segnalazioni risalgono addirittura agli anni Cinquanta, anche se solo negli ultimi tempi si sono registrati dati significativi sulla sua diffusione, grazie al raggiungimento di condizioni ambientali ottimali per la riproduzione.

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La presenza del granchio blu nei nostri mari sembra essere dovuta principalmente alle correnti marine o a fughe accidentali da allevamenti intensivi, favorita dalla sua capacità di adattarsi ad acque salmastre. Ciò che desta maggiore preoccupazione è la straordinaria prolificità di questa specie: le femmine possono deporre migliaia di uova sotto il ventre, garantendo una rapida espansione della popolazione.

Dopo la schiusa, migliaia di piccoli granchi si disperdono in mare aperto e, complice il riscaldamento globale, cercano nuove aree dove insediarsi stabilmente. Il granchio blu può sopravvivere a temperature fino a 30°C e l’aumento delle temperature marine favorisce la loro permanenza in determinate zone, prolungando i periodi di accoppiamento e rendendo più agevole la colonizzazione di nuovi habitat.

Un rischio per l’equilibrio

Numerosi studi hanno evidenziato che la dieta del granchio blu è prevalentemente onnivora: si nutre di altri crostacei come cozze e vongole, ma anche di pesci morti, contribuendo così alla diminuzione delle popolazioni di molluschi e alterando la disponibilità di risorse per la pesca locale. Inoltre, le sue potenti chele gli permettono di scavare profonde tane nei fondali, rendendo questi ultimi più fragili e aumentando il rischio di erosione costiera.

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Come già accennato, il granchio blu si nutre principalmente di altri crostacei, entrando così in competizione diretta con specie autoctone e rischiando di introdurre parassiti o malattie che potrebbero colpire la fauna ittica locale. Questo squilibrio mette a rischio l’intera catena alimentare marina, costringendo molte specie a migrare o a ridurre la propria presenza nelle aree colpite.

In definitiva, i problemi causati da questa specie invasiva sono molteplici e coinvolgono l’intero ecosistema marino. In alcune zone si sono già registrati drastici cali delle popolazioni di vongole e altri molluschi, oltre a gravi danni ai fondali dovuti all’attività incessante di scavo dei granchi blu.

Il problema ECOnomico

Oltre ai danni ambientali, la diffusione del granchio blu rappresenta una seria minaccia anche per l’economia locale, in particolare per i pescatori. Molti di loro lamentano ingenti danni alle reti da pesca, alle imbarcazioni e una significativa riduzione della quantità di molluschi pescabili, con conseguenti ripercussioni sul reddito.

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Per fortuna, la tecnologia sta offrendo nuove soluzioni: sono state sviluppate trappole e reti selettive per limitare la cattura accidentale dei granchi blu. Alcuni centri di ricerca stanno inoltre sperimentando droni subacquei capaci di mappare le tane di questi crostacei, consentendo interventi più mirati ed efficaci.

Non mancano iniziative innovative da parte di pescatori e volontari, che hanno creato app per segnalare in tempo reale avvistamenti e spostamenti dei granchi blu, corredando le segnalazioni con foto e coordinate geografiche. Grazie alla sinergia tra tecnologia e collaborazione collettiva, è possibile monitorare e gestire meglio questa specie, tutelando l’ambiente e le altre forme di vita marina.

Dall’America all’Italia

Oggi il granchio blu è ormai una presenza stabile su gran parte delle coste italiane, dall’Adriatico al Mediterraneo. In alcuni porti, si stima che fino al 30% del pescato totale sia costituito proprio da questa specie. Senza interventi tempestivi e mirati, il rischio è quello di assistere a un’ulteriore crescita delle popolazioni, con conseguenze sempre più gravi per l’ecosistema e l’economia locale.

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L’aumento costante delle temperature e le variazioni delle correnti marine favoriscono ulteriormente l’insediamento del granchio blu, rendendo la gestione del fenomeno sempre più complessa. Come già sottolineato, una delle strategie più promettenti per affrontare questa emergenza consiste nell’investire in tecnologie innovative per intervenire efficacemente nelle aree più colpite.

Un’altra possibile soluzione riguarda l’adozione di normative più severe sugli scarichi delle acque di zavorra delle navi, riconosciuti come una delle principali cause della diffusione di specie aliene nei nostri mari. In conclusione, per arginare questa invasione e proteggere la biodiversità marina, è fondamentale agire con tempestività e promuovere la collaborazione tra istituzioni, ricercatori e cittadini.

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